di Pier Aldo Rovatti

 

Adesso che l’iter legislativo è ufficialmente iniziato, dopo mesi di consultazioni, è opportuno capire se questa riforma della scuola ha una spina dorsale e se sia possibile caratterizzarla. Non è un compito così agevole per il fatto che essa si compone di molti strati che andranno via via a incollarsi l’uno con l’altro. Dire che si tratta di una riforma permeata da una cultura genericamente neoliberale è un’ovvietà che alla fine significa poco. Bisogna entrarci dalla parte giusta e vorrei proporre di farlo a partire da una recente circolare ministeriale (15 febbraio), intitolata “Pagelle più ricche”, che mette in atto la certificazione degli studenti della scuola primaria e della scuola media sulla base di quattro giudizi: “avanzato”, “intermedio”, “base”, “iniziale”. Questo sguardo potrà apparire laterale ma forse ci permette di afferrare il senso dell’intera operazione.

La prima fase della riforma provvederà a mettere delle toppe allo scandalo del precariato degli insegnanti. Che 150.000 di coloro che già insegnano senza essere riconosciuti come tali vengano assunti è un fatto di notevole rilievo, che in ogni caso non risolve il problema: dietro a loro sta infatti l’esercito ben più nutrito di quanti resteranno fuori pur avendone diritto. Per quel che verrà dopo e gradualmente, la “buona” scuola di Renzi annuncia vari provvedimenti, come l’abolizione dei “nidi” (integrati in un unico ciclo asilare), l’immissione di nuove materie o la digitalizzazione, che hanno una loro evidente positività. Ma dove sta il senso complessivo dell’operazione?

Il fulcro sembra consistere nell’istituzione, a ogni livello, di un regime di valutazione cui saranno sottoposti i docenti: regole per caratterizzare la qualità degli insegnanti e disporne la mobilità anche stipendiale. Sarà dunque una scuola parzialmente modernizzata ma completamente disciplinata da processi di valutazione, una “scuola della valutazione”. E gli studenti, cioè i veri soggetti della scuola, come entrano in questo quadro?

Tutti sappiamo che il buon giorno della scuola si vede dal mattino. I cicli iniziali sono per molti aspetti decisivi; il seguito è importante, tuttavia se i primi passi sono sdrucciolevoli, il resto diventerà necessariamente scivoloso. Lo sanno perfettamente i genitori e non lo ignorano certo i riformatori renziani che infatti vi rivolgono parecchia attenzione (la già ricordata riforma dell’asilo, il doppio insegnante nelle primarie e altro). Considero una spia sintomatica l’introduzione, per ora sperimentale, della certificazione delle competenze perché ci consente di vedere come la cultura della valutazione venga applicata agli alunni. “Pagelle più ricche” non vuol dire che scompariranno i voti ma che saranno “arricchiti” da schede di valutazione trasmesse alle famiglie alla fine di ogni ciclo (recita soavemente la circolare: “mamma e papà possono ricevere anche una scheda […]”).

A essere ottimisti si potrebbe pensare che è un segnale per arrivare a svuotare i vituperati voti che producono ansie e perfino piccole tragedie. Meno ottimisticamente, queste valutazioni non appaiono così innocenti e probe: se infatti un brutto voto si può correggere, il giudizio che misura un comportamento può avere un carattere definitivo e pesare come una pietra. Mette in campo valutazioni psicologiche e di indole che implicano l’intera personalità del bambino o del ragazzo, e non solo il rendimento scolastico.

Se andiamo a leggere le linee guida della citata circolare, apprendiamo che sarà considerato di livello “avanzato” chi è ritenuto in grado di svolgere compiti complessi e risolvere problemi complessi, in situazioni nuove e con piena padronanza, mentre sarà valutato come “iniziale” chi è in grado di svolgere solo compiti semplici, in situazioni già note e se opportunamente guidato.

In altri termini, prendendo sul serio tale dispositivo, gli insegnanti dovrebbero assumersi la responsabilità di comunicare alle famiglie una specie di verdetto: guardate che vostra figlia o vostro figlio ci risulta fatto così quanto a capacità e comportamento, tirate le conseguenze. Avrei dei dubbi se una “buona” scuola possa e debba spingere fino a questo punto il proprio mandato di valutazione. Ma proprio qui, forse, intravvediamo la vera natura culturale della riforma che sta prendendo avvio.

[pubblicato su “Il Piccolo”, 27 febbraio 2015]

 

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