di Antonello Sciacchitano

 

Materia di vita o di morte

In questi giorni di pandemia si sente spesso parlare di guerra contro un nemico invisibile. Ma quale nemico e quale guerra? Oggi la guerra, se esiste, è di trincea. Siamo trincerati in casa. Però, a ben vedere, c’è dell’altro. Mi chiedo allora: quale nemico? Per aggiornarmi leggo:

I microbi, compresi quelli che aggrediscono gli esseri umani, sono la forma di vita più ingombrante sulla terra, oltre che la più antica. Virus, funghi, protozoi e soprattutto batteri hanno conquistato il pianeta tre miliardi di anni prima degli animali e sono la maggioranza, il 60 per cento della massa vivente. Dei 100.000 miliardi di cellule che abbiamo, il 90 per cento sono microbi, infinitamente più piccoli; tappezzano superfici interne ed esterne e, quando escono, sono un terzo delle feci. Una coabitazione affinata in milioni di anni di convivenza, in cui gli organismi superiori hanno imparato a fermare le invasioni dei microbi senza distruggerli del tutto, perché sono utili. Come i batteri che digeriscono la cellulosa nell’intestino degli erbivori o nel nostro degradano i sali biliari e producono vitamine.[1]

Risultato: il genoma di Homo sapiens contiene il 20% di DNA virale, dieci volte di più del DNA condiviso con Homo neanderthalensis. Freud diceva che l’Io non è padrone in casa propria.[2] Sapeva quel che diceva? Non sapeva che l’Io non ha neppure una casa propria. Diceva di conoscere solo la vita psichica, das Seelenleben, termine che ricorre ogni venti pagine dei suoi scritti. Ma come potrebbe esistere vita psichica senza casa biologica?

A proposito di vita Nietzsche aveva già ammonito: das Leben kein Argument.

La vita non è un argomento. Ci siamo creati un mondo in cui poter vivere, ammettendo corpi, linee, superfici, cause ed effetti, movimento e quiete, forma e contenuto; senza questi articoli di fede ora nessuno riuscirebbe più a vivere! Ma con ciò non sono ancora dimostrati. La vita non è un argomento; fra le condizioni della vita potrebbe esserci l’errore.[3]

Lo slancio vitale (élan vital) di Bergson, la vita psichica di Freud, il mondo della vita di Husserl (die Lebenswelt), la biopolitica di Foucault, hanno riferimenti deboli al reale. Ciò non toglie che possano essere utili par provision in certe occasioni eccezionali, per esempio in tempi di pandemia. Allora è prudente aggiungere a “vita” un aggettivo, per esempio: “vita collettiva”, per me il concreto equivalente di “vita psichica”.

“Fra le condizioni della vita potrebbe esserci l’errore”. La scivolosità della nozione di vita fu così segnalata da Nietzsche, che aveva capito la lezione di Darwin in The Descent of Man.[4] Dopo Darwin la biologia non fu più la stessa dei tempi di Linneo. Il motore della vita biologica è l’errore. La scienza lo chiama mutazione: è un fenomeno spontaneo, casuale, che produce la variabilità delle forme di vita, la cosiddetta biodiversità.

Essendo probabilistico, quindi senza causa deterministica, il concetto di mutazione è ostico per il senso comune, che, essendo ancora aristotelico, stenta a concepire effetti senza causa. La scienza antica, essenzialmente storica e narrativa, è scire per causas. Da Galilei in poi, la scienza moderna prescinde largamente dalle cause. Il moto inerziale procede all’infinito senza motori. Ma anche senza cause, gli effetti non mancano; sono qui davanti a noi e presentificano la morte. Non li ha prodotti la mano di Dio per castigarci né qualche potenza straniera – il nemico – per sottometterci. Le pandemie sono eventi ciclici che causano sé stessi: un secolo dopo la spagnola – mio padre mi raccontava di come vedeva spegnersi i malati, il cui cuore non reggeva, nonostante somministrasse loro la canfora – ecco la pandemia da covid19, preceduta da molte altre epidemie minori. Non è ancora arrivata a produrre 50 milioni di vittime. Ci arriverà? I modelli biometrici di W.O. Kermack e A.G. McKendrick, formulati quasi un secolo fa (1927-1933), non lo prevedono. La scienza, a quanto si sa, non lo esclude.

 

Resistere alla scienza

Già, la scienza! Sul Corriere della sera del 6 aprile 2020, Walter Veltroni scrive che “abbiamo capito che la scienza non è uno strumento del demonio”. Bravo Walter, ci sei arrivato; era ora! Ma l’abbiamo davvero capito tutti? Alla scienza si resiste sin dai tempi dell’infame processo a Galilei; erano anche quelli tempi pestiferi, letteralmente, descritti da Alessandro Manzoni nella Storia della colonna infame (1840).

Si resiste alla scienza per una ragione psicopatologica molto semplice. Non perché sia farina del diavolo, che andrebbe in crusca, ma perché non è antropomorfa. Il senso comune è fondamentalmente paranoico; capisce solo le spiegazioni antropomorfe; preferisce credere, invece che alla scienza, all’esistenza dello scienziato diabolico, che ha messo volutamente in circolo un virus modificato. Lacan ci ha insegnato che la paranoia è il nerbo della personalità forte,[5] che si regge sui deliri di persecuzione o di grandezza. Allora certe personalità filosofiche forti del nostro tempo mettono in giro spiegazioni complottiste. Nello stato d’eccezione il potere – il re – prenderebbe il pretesto di salvare la vita dei sudditi per comprimere la loro libertà: primum vivere deinde libertas. Detto in un latino più maccheronico, ma più efficace: in virus veritas. Vero, è una verità paranoica, direbbe lo psichiatra che sa il latinorum della paranoia.

Il filosofo esige la verità. L’uomo di scienza è meno esigente; coltiva un pensiero più debole di quello filosofico, meno fenomenologico di quello di Vattimo e Rovatti (1983)[6] ma non meno attendibile; si accontenta di congetture statistiche. Abbiamo visto il fenomeno; stiamo comprendendo, forse, che siamo di fronte a un evento ecologico di portata planetaria. Per spiegarlo ci vorrà tempo. È il tempo che la mia pratica psicanalitica riconosce come “tempo di sapere”.[7]

“Spiegare” vs“comprendere” è una vecchia dicotomia – oggi obsoleta – che contrapponeva le scienze della natura, che la spiegano, alle scienze dell’uomo, che lo comprendono.

Volete un aiutino per una spiegazione plausibile dell’attuale pandemia? Aprite il libro non più recentissimo, e perciò molto significativo, di Quammen, intitolato Spillover,[8] che spiega le pandemie come zoonosi, cioè come passaggio (letteralmente “traboccamento”) di un virus dall’animale all’uomo. Non è una novità. Diecimila anni fa la prima pandemia fu dovuta alla transizione dalla forma di vita seminomade dei cacciatori-raccoglitori alla convivenza stanziale degli agricoltori-allevatori. Non ci fu alcuno stato d’eccezione ma solo una vita “normale”. Il morbillo, oggi endemico, si insediò allora nella collettività umana come zoonosi dai bovini all’uomo. Nel caso di Sars-cov2 sembra trattarsi del “salto” dal pipistrello all’uomo, favorito dalla passione asiatica per le “carni selvatiche” (bushmeat). Ipotesi accettabile fino a prova contraria.

Lo ricordo per mettere a tutti noi il cuore in pace da paranoie latenti, per cominciare a pensare e, quindi, decidere in termini razionali. Nulla sarà più come prima – sento dire in giro. D’accordo, a patto di riuscire a essere meno paranoici e più ragionevoli. Primo: non c’èalcun persecutore. Secondo: la ragionevolezza è necessaria per affrontare, non sappiamo ancora come, l’incombente crisi economica. La paranoia è il vero nemico invisibile, che intralcia il ragionamento economico; genera solo protezionismi e dazi.

Ho messo insieme un centone di citazioni, giusto per far vedere che il mio pensiero non è né mio né originale; è una variante del pensiero ecologico collettivo. Allora chiudo citando ancora Quammen, che cita Ostfeld: “Any infectious disease is inherently an ecological system”.[9] Il medico deve svestirsi del camice bianco, con cui riceve il singolo paziente, e rituffarsi nelle Epidemie di Ippocrate, ecologo ante litteram.[10] Più in dettaglio:

Le pressioni e gli sconvolgimenti causati dall’uomo stanno portando gli animali patogeni sempre più in contatto con le popolazioni umane, mentre la tecnologia e il comportamento dell’uomo stanno diffondendo quei patogeni sempre più estesamente e velocemente. Gli elementi che concorrono a questa situazione sono tre.

Primo. Le attività del genere umano stanno causando la disintegrazione (parola scelta con cura) degli ecosistemi naturali a velocità cataclismatica. […]
Secondo. Milioni di creature ignote includono virus, batteri, funghi, protisti e altri organismi, molti dei quali sono parassiti. Oggi gli studiosi di virologia parlano di “virosfera”, un vasto regno di organismi che sovrasta ogni altro gruppo. […]
Terzo. Ora la disintegrazione dei sistemi naturali sembra scatenare sempre di più tali microbi in un mondo sempre più vasto.[11]

Riconosci il nostro nemico? Si chiama “uomo”. Minaccia che perirà con noi.

 

(6 aprile 2020)


[1] A. D’Amico, La scoperta dell’immunità, “Le scienze”, n. 620, aprile 2020, p. 44.
[2] S. Freud, “XVIII.Die Fixierung an das Trauma, das Unbewußte” (1916-17, Lezione XVIII. La fissazione al trauma, l’inconscio) in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. XI, p. 295, Fischer, Frankfurt a.M. 1944.
[3] F. Nietzsche, La Gaia scienza, aforisma 121, traduzione mia, 1882.
[4] C. Darwin, “The Descent of Man and Selection in Relation to Sex” (1871-74, L’origine dell’uomo e la scelta sessuale), trad. M. Lessona, Rizzoli, Milano 1982.
[5] J. Lacan, “De la psychose paranoïaque dans ses rapports avec la personnalité. Premiers écrits sur la paranoïa” (1931-33, La psicosi paranoica in rapporto alla personalità. Primi scritti sulla paranoia) Seuil, Paris 1975.
[6] G. Vattimo, P.A. Rovatti (a cura di), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 1983.
[7] A. Sciacchitano, Il tempo di sapere. Saggio sull’inconscio freudiano, Mimesis, Milano-Udine 2013.
[8] D. Quammen, Spillover. Animal Infections and the Next Human Pandemic, W.W. Norton and Company, New York 2012.
[9] Ivi, cap. V, § 50.
[10] Ippocrate, Epidemiein Opere di Ippocrate (V sec. a.C.), a cura di M. Vegetti, UTET, Torino 1965, p. 297. Vegetti fa notare che in greco, “epidemia” vale “visita”, cioè viaggio o soggiorno in città straniere. Nel linguaggio ippocratico, il termine non significa affezione contagiosa, ma malattia predominante in una certa regione e un certo periodo.
[11] Ivi, cap. I, § 6, traduzione mia.

 

 

One Response to Vedere, comprendere, spiegare

  1. “Primo. Le attività del genere umano stanno causando la disintegrazione (parola scelta con cura) degli ecosistemi naturali a velocità cataclismatica. […]
    Secondo. Milioni di creature ignote includono virus, batteri, funghi, protisti e altri organismi, molti dei quali sono parassiti. Oggi gli studiosi di virologia parlano di “virosfera”, un vasto regno di organismi che sovrasta ogni altro gruppo. […]
    Terzo. Ora la disintegrazione dei sistemi naturali sembra scatenare sempre di più tali microbi in un mondo sempre più vasto.[11]
    Riconosci il nostro nemico? Si chiama “uomo”. Minaccia che perirà con noi.”
    Mi riferisco alla conclusione dell’ottimo articolo con le seguenti osservazioni:
    I. Che le attività del genere (specie) umano causano la disgregazione dell’ecosistema è evidente, ma credo che significhi non disgregazione ma modifica dell’ecosistema a cui appartiene la specie umana.
    a. Ciò non toglie che il nuovo ecosistema possa comportare l’estinzione della nostra specie.
    II. Sappiamo da tempo che la specie umana non è quella quantitativamente maggiormente diffusa e che la “virosfera” è sempre esistita anche a nostro vantaggio (vedi i batteri) come espresso nell’articolo.
    a. Non è la caratteristica quantitativa ma quella qualitativa quella che ha permesso alla specie umana di potere essere in grado di distruggere l’ecosistema a cui appartiene l’animale uomo e la “virosfera” (vedi l’uso della bomba atomica o altre tecnologie di distruzione di massa).
    III. I sistemi naturali non sono disintegrabili ma possono essere modificabili lasciando spazio ad altri sistemi vitali.
    a. In una visione antropocentrica questo fenomeno sembra deprecabile ma potrebbe essere una normale evoluzione di un mondo vitale di cui l’animale uomo è parte.
    Il nostro vero nemico non è l’uomo in sé ma è il sistema sociale con cui si manifesta la sua organizzazione di branco. È l’antropocentrismo di alcuni uomini o di piccoli branchi che, sfruttando un ignoranza diffusa o una semplicità esistenziale, cerca di esorcizzare la propria paura della morte.

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