di Pier Aldo Rovatti

 

Quello che mi irrita di più è il fatto che al pessimo stato di salute in cui versa l’organizzazione della scuola italiana si accompagni un atteggiamento positivo verso l’esperienza scolastica in quanto tale da parte di una buona maggioranza degli studenti.

È tutto vero ciò che risulta dall’inchiesta di Gianluca Modolo pubblicata di recente su questo giornale: mancano gli insegnanti, i dirigenti che ci sono devono saltare da un istituto all’altro, il personale non docente è carente e male organizzato, gli edifici spesso fatiscenti e con scarsa manutenzione, e via seguitando perché l’elenco, se poi andiamo a vedere nello specifico, potrebbe essere molto allungato. Ma, con la struttura dell’istituzione e con le sue note decisamente dolenti contrastano non solo il bisogno degli studenti di vivere la scuola in modo gratificante e vantaggioso ma anche la constatazione che essi riescono comunque a soddisfarlo.

Un’inchiesta parallela potrebbe infatti rilevare la grande positività dell’andare ogni giorno nelle aule da parte dei ragazzi perché lì, comunque, costruiscono un pezzo importante della loro vita quotidiana, nonostante i pesanti disagi che avvertono e subiscono. Dunque, se protestano come sta accadendo a Trieste e in tutta Italia, questa protesta non sembra avere proprio nulla di ideologico: vorrebbero che la loro esperienza di studio e di vita nella scuola fosse riconosciuta nella sua rilevanza e non resa difficoltosa, frenata, talora impedita dal cattivo funzionamento degli istituti.

Vorrebbero che si modificassero orari che li costringono a mettersi in strada quando non è ancora giorno e a stare in troppi e per troppo tempo chiusi nelle aule, per poi tornare alle loro case sfiniti e subito doversi sedere al tavolo per cercare di eseguire compiti non certo leggeri che possono occupare anche l’intero pomeriggio. Vorrebbero, insomma, alleggerire tutto ciò che non ha a che fare con quelle ore di lezione dove la scuola fa davvero il suo mestiere, produce gratificazioni e contribuisce all’arricchimento culturale complessivo degli studenti.

Provate ad aggirarvi poco prima delle otto nei pressi degli edifici scolastici e vedrete uno sciame di giovani e giovanissimi che si affrettano con zaini stracolmi o trascinando trolley: è uno spettacolo strano, sproporzionato rispetto all’evento che sta iniziando. E loro? Loro vi appariranno allegri in questo improprio sciamare.

Fa rabbia pensare che il peso dei libri, che ogni giorno vanno assurdamente avanti e indietro, che l’incastro delle sei ore, spesso mal combinate, che la quantità dei compiti a casa, eccessiva e poco rispondente a un minimo criterio razionale, sono problemi che potrebbero essere risolti facilmente se solo si ponesse mente alle esigenze di una scuola, non dico buona ma solo decente. Ma tant’è: ormai prevale un’assuefazione alla routine generale, ben pochi se ne preoccupano e le stesse famiglie accettano le pratiche esistenti senza battere ciglio.

Lasciamo stare le primarie, dove lo studente è ancora un bambino, e lasciamo stare anche le superiori, dove lo studente comincia a essere un adulto: se facessimo un test approfondito sulle tre classi medie, quando è in gioco l’età critica della preadolescenza e gli studenti scoprono di cosa è fatto il sapere e possono comprendere il significato decisivo dello studio, di uno studiare esercitato in quella specialissima comunità – forse unica nell’intero ciclo scolastico, università compresa – troveremmo uno scenario di grande intensità.

Lo scenario della scoperta, appunto. Dove si intrecciano molti fili, quello dell’amicizia e dello stare assieme, quello della percezione vissuta delle differenze di genere, e tutti gli altri inizi della effettiva vita relazionale, mescolati, anzi direzionati verso l’apprendimento dei saperi e della loro utilità. Non sto inventandomi una simile scena, provate a chiedere ai ragazzi e ai loro insegnanti. L’ora di lezione può diventare e spesso è un momento ricco e gioioso, un’esperienza intensa che cattura e fa crescere. I ragazzi lo sanno bene.

A tal punto lo capiscono che sono disposti a una fatica sulla quale noi adulti saremmo almeno perplessi. Accettano perfino che la scuola sia un carrozzone malandato. Faccio solo un piccolo esempio, per terminare: il cosiddetto “smistamento”, pratica abbastanza comune quando in assenza dell’insegnante previsto i ragazzi vengono parcheggiati in altre sezioni e in altre classi e riescono a vivere anche questo disagio in modo positivo. Incuriosendosi della novità di compagni e materie, o solo impiegando utilmente questo tempo per portarsi avanti con i compiti in modo da alleggerire il pomeriggio.

[pubblicato su “Il Piccolo”, venerdì 23 novembre 2019]

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