di Pier Aldo Rovatti

 

È innegabile – a proposito del nuovo governo verdegiallo – che finora hanno prevalso le parole e che tutti stanno aspettando i fatti per capire e giudicare l’attuale situazione politica, ma è altrettanto innegabile che le parole stesse anticipano i fatti e ne forniscono già il carattere peculiare.

Fin dal primo giorno queste parole non sono state parole qualsiasi: a cominciare da quell’“È finita la pacchia”, rivolto ai migranti dal neoministro degli Interni, si è snocciolato un rosario di espressioni corpose, pesanti, dirette bruscamente al bersaglio, anche epiteti gratuiti, il tutto gridato con tono a volte più volgare che semplicemente populistico. Lascio ad altri il compilarne un elenco dettagliato e l’osservare come quasi ciascuna di tali parole possa diventare oggetto di un’indagine semantica che ci porta verso le zone grigie e basse della nostra quotidianità.

Pensavamo che fossero l’effetto di un’ininterrotta vis da campagna elettorale, e magari ancora lo speriamo attendendo che si ritorni a un eloquio più civile e consono al ruolo che si addice ai governanti, tuttavia si tratta di un’esile speranza, nutrita da un ottimismo che ha poco a che fare con quanto sta accadendo. Questo tipo di linguaggio rischia di perpetuarsi proprio come uno stile di governo. I “fatti”, cioè i decreti di legge, dovranno necessariamente smussarne alcune punte, ma la realtà è che le “parole” ne costituiscono tutt’altro che un preambolo retorico: contengono infatti, con smaccata evidenza, la fattualità che stiamo aspettando con l’illusione che lì il tono e i modi dovranno essere diversi.

È invece molto probabile – per usare un eufemismo – che tra i fatti attesi da noi con un atteggiamento giudizioso e le parole che li stanno anticipando si produrrà un completo continuum. È inoltre già ora verificabile, quando i cosiddetti fatti sarebbero latitanti: sono bastate pochissime settimane perché si creasse un effetto di verità del proclamato “sovranismo”, come attesta la sindrome da isolamento dell’Italia a livello quanto meno europeo, che non è un timore campato per aria bensì una condizione che appoggia su basi concrete e che – a quanto risulta fin qui – sembra venire ricercata consapevolmente piuttosto che essere subita.

Nel mondo dei fatti siamo dunque già entrati, quelle inusuali parole ne fanno parte e non è difficile prevedere che continueranno a mantenere la loro impronta. Il motivo è perfino banale: la “pacchia” e tutto il seguito di una discorsività diretta alla pancia della gente, o meglio capace di sollecitare un’emotività immediata e un immediato consenso, sono alla lettera ciò che si desiderava da parte di quei milioni di italiani che hanno dato il loro voto a una “non-politica” che la facesse finita con il politichese parolaio ed elitario, salottiero, ormai distante in tutto da un “popolo” stanco, compresso, voglioso di aria respirabile e che voleva essere rappresentato non da funzionari lontani ma dagli amici della porta accanto.

Perciò la tendenza all’antipolitica, che caratterizzava il movimento di Grillo fin dal suo nascere, e il populismo di destra, che era e resta l’aspetto distintivo del partito di Salvini, si sono infine riconosciuti per celebrare una specie di matrimonio: nozze per un verso strane e decisamente rischiose (specie per i Cinquestelle, che potrebbero pagarne il prezzo in termini di consenso), ma per l’altro verso comprensibili nella loro legittimità di fondo.

Se, di qui in avanti, una convivenza potrà realizzarsi per quanto litigiosa, ciò che li ha spinti ad avvicinarsi non sono soltanto la convenienza e le promesse di potere, perché tra i “vaffa” di Grillo, ora un poco sbianchettati, e le pesantezze verbali tradotte in atteggiamento politico da Salvini (pensiamo alla sua greve presenza sui social) esiste un indiscutibile trait d’union, per dirla in modo elegante. Di questo “tratto” l’attuale populismo italiano non potrà fare a meno, nonostante Di Maio si impegni a presentarsi con un viso pulito e senza felpe (anzi, con giacca ben stirata e camicia bianca).

[pubblicato su “Il Piccolo”, venerdì 29 giugno 2018]

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