di Pier Aldo Rovatti

 

La settimana prossima [questa, NdR] il decreto Cirinnà sulle unioni civili arriverà alla stretta parlamentare. Alcuni problemi di questo delicato decreto sembrano risolti, altri restano di incerta soluzione. Pare accolto politicamente il punto stesso delle unioni civili che consiste nel riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali, a condizione che non si identifichino queste unioni con il nome specifico di matrimonio: è già qualcosa sulla strada di un notevole ritardo dell’Italia rispetto ad altre situazioni in Europa e nel mondo.

Resta invece uno scarto di opinioni sull’articolo 5 del decreto che dovrebbe regolare le adozioni (la discussa stepchild adoption), sancendo il diritto delle coppie omosessuali di adottare a pieno titolo i figli di uno o dell’altro dei componenti della coppia. Esistono moltissime situazioni di questo tipo che nella società reale sono già state accolte senza problemi, ma che attualmente espongono i minori privi di tutele a evidenti rischi e ingiustizie.

Tutto si concentra attorno all’espressione “il diritto ai bambini”, che viene interpretata in modo decisamente contrapposto, come riconoscere ai bambini i loro diritti oppure come esercitare il diritto di avere bambini. Chi impugna quest’ultima interpretazione afferma, con un empito forse eccessivo, che il bambino non è una “proprietà” e non può essere dunque ridotto a qualcosa che si pretenda di possedere. Questo sarebbe l’elemento più consistente della distanza che ancora separa l’opinione laica dall’opinione cattolica, anche nei suoi esponenti più illuminati.

La questione ha chiaramente un rilievo etico/sociale che precede e innerva l’attuale discussione politica. Di che cosa si ha davvero paura? Se lasciamo da parte i fantasmi del tipo “degenerazione antropologica” o altri che pure circolavano a Roma durante il recente Family Day, si teme che la liberalizzazione delle adozioni all’interno delle coppie omosessuali apra una breccia verso la maternità surrogata, tuttora proibita in Italia ma lecita in altri Paesi. Questa paura induce a sottovalutare l’assoluta mancanza di diritti dei figli acquisiti e la gravità di questo buco giuridico: dove finirebbero quando la coppia omosessuale avesse una di quelle crisi che sono all’ordine del giorno nelle coppie eterosessuali? Da chi e come verrebbero protetti?

Alla realtà delle cose viene così rivolto uno sguardo disattento, per usare un eufemismo, e intanto si carica il problema con una generalità decisamente astratta. Prendo una delle tante esternazioni che abbiamo potuto leggere in questi giorni: “Non c’è un diritto della coppia ad avere figli” (come ha detto Pierluigi Castagnetti in un’intervista all’“Unità”). Ecco affiorare il tema della proprietà in una maniera addolcita ma non per questo meno netta. È curioso ascoltare parole simili quando spesso ci si lamenta della scarsità delle nascite, e si ha l’impressione che si tratti, più che altro, di un generico abbellimento morale.

Perché non si dovrebbe avere il diritto di avere un figlio? Semmai sarebbe il caso di parlare di possibilità materiali, di capacità di dargli condizioni di vita dignitose, di disponibilità di garantirgli tutta la cura e l’affetto di cui avrà bisogno. Anche qui la società concreta appare più avanzata e consapevole, nella grande maggioranza dei casi, rispetto alle petizioni di principio. Possiamo anche contrapporre a chi impugna l’idea di proprietà quell’altra generalizzazione che dice che avere un figlio è sempre un dono, ma poi dobbiamo scendere dal piedistallo delle massime morali (ciascuna dotata di un suo brillio, nessuna però in grado di misurarsi davvero con le esperienze quotidiane) per riuscire a praticare semmai un’etica minima, insomma quell’etica pratica e materiale con cui solo possiamo stabilire se una famiglia funziona, se vi circola l’amore necessario, se i figli vengono davvero ascoltati e vi hanno un ruolo.

Il diritto di avere diritti (così suona il felice titolo di un libro di Stefano Rodotà) è qualcosa di decisivo, soprattutto nel caso delle unioni civili. Ma questo diritto non è un semplice dato naturale, già pronto per l’uso, è sempre una conquista sociale e individuale, magari lenta e faticosa. È difficile negare che le coppie omosessuali lo abbiano faticosamente acquisito. Tutto il resto rischia di diventare fumo ideologico, presupposto astratto, perfino la bellissima affermazione che avere un figlio è un dono. Possiamo credere che è un dono ma poi dovremo ricambiarlo, il che – come sappiamo – non sempre accade. Allora, forse, sarebbe meglio occuparci dei doveri che gli adulti hanno verso i bambini.

[articolo uscito su “Il Piccolo”, 5 febbraio 2016]

One Response to Il diritto ai bambini

  1. Verona Emanuele says:

    I diritti dei bambini sono certamente tanti , ma anche i doveri dei genitori sono tanti . Giusto tener conto sempre della parte piu’ fragile e di trarne sempre il diritto fondamentale cercando origini e ragioni che possano comunicare sempre per il bene questo comporta attenzione presenza sacrificio in chi si adopera in questioni non facili ,trarre dai propri pensieri continuita’ nell’affermare risposte concrete.

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