di Pier Aldo Rovatti

[uscito su “Il Piccolo”, 4.9.2014]

Tutti coloro che sono interessati alle sorti della scuola italiana si augurano che il “pacchetto” di provvedimenti proposto da Renzi (anticipato attraverso il sito passodopopasso.italia.it) possa davvero portare a qualcosa di nuovo. Se non sarà la “buona scuola” ottimisticamente annunciata, che almeno diventi una scuola decorosa e soprattutto condivisa da chi ogni giorno entra in aula per esercitare una professione che non potrà mai ridursi a una prestazione burocratizzata.

C’è da augurarsi che le consultazioni a tutto campo, famiglie e studenti compresi, non restino una vaga promessa, ma si realizzino effettivamente e non in modo superficiale, perché la nostra scuola soffre di molti mali, non ultimo la scarsa consapevolezza di quanto vi accade dalla quale discende il conseguente disinteresse dei politici. C’è davvero da augurarsi che questa sia la volta buona dopo innumerevoli appuntamenti mancati o abborracciati alla meglio: peccato che si sia perduto un altro anno (è infatti poco prevedibile che i provvedimenti possano davvero incidere sull’anno scolastico che sta per iniziare), ma sarebbe un disastro se ci si affidasse ancora ai rammendi e alle improvvisazioni.

I mali sono tanti: strutture fatiscenti, la piaga del precariato, l’esigenza di un nuovo contratto di lavoro per gli insegnanti. Al fondo di essi, tuttavia, resta il fatto che la scuola nel suo insieme è una terra incognita, un continente alquanto misterioso e colpevolmente inesplorato, di cui i politici sanno poco e che l’opinione pubblica conosce solo per stereotipi. Non si dispone di un quadro preciso delle sperimentazioni già avviate e spesso lasciate a se stesse, prevalgono disordine e confusione, senso di abbandono. Non si ha idea della povertà materiale dentro cui oggi si insegna con infinite difficoltà, ma non si ha neppure un’idea della ricchezza culturale che vi si produce e spesso vi si spreca quotidianamente. Non si ha o non si vuole avere?

Conversando con un mio ex allievo che ha attraversato – come tanti – il calvario del precariato (anni di supplenze risicate con continui spostamenti, contratti semigratuiti all’università, con la costante minaccia di essere messo alla porta o l’angoscia di non poterci nemmeno entrare), lui a un certo punto ha pronunciato, per caratterizzare il suo attuale stato d’animo, una frase venata di ironia: “Ho giusti timori e trepide speranze”. Gli chiedevo cosa ne pensasse del “pacchetto scuola” appena varato e in particolare come considerava la possibile soluzione del problema supplenti (ora chiamata “supplentite”, dopo la gaffe iniziale della ministra Giannini: “Le supplenze fanno male a chi le fa e a chi le riceve”). Mi ha risposto entrando nella situazione reale, assai articolata e non poco contraddittoria, una situazione che ha a che fare con l’organico di diritto e di fatto, con il potere dei dirigenti scolastici, con le graduatorie di istituto e quelle provinciali, insomma con tutto il girone infernale che lui stesso ha dovuto vivere in prima persona con momenti, anche, di completo sconforto (“Lascio tutto!”).

Risparmio ai lettori una descrizione troppo analitica che pure sarebbe salutare per comprendere i “giusti timori”. Quanto alle “trepide speranze”, possono forse sintetizzarsi nell’augurio che ci siano denari e volontà politica per poter aggiungere all’attuale organico un piccolo supplemento funzionale di insegnanti a disposizione per ogni istituto allo scopo di supplire, cioè di coprire i buchi didattici via via che essi fisiologicamente si aprono. Una speranza non grande, come si può vedere, se la confrontiamo con l’annunciata soluzione del problema del precariato mediante l’immissione di centinaia di migliaia di aventi diritto ora posteggiati nelle graduatorie provinciali (centomila subito, annuncia il ministero).

Gli domando anche quali timori e speranze affidi a una politica di riforma della scuola secondaria centrata sul “merito”: se non gli sembri che la meritocrazia adesso sbandierata corrisponda a un richiamo per le allodole o a qualcosa di simile a un trucco. Che si traduca tutto in quantità e numero mentre in realtà della qualità nessuno si interessa. Con una saggezza sorprendente per un giovane (giovane che si avvia ai quarant’anni!), mi dice che è vero che c’è il rischio che il merito venga semplicemente derubricato in ore di lavoro supplementare (al di là delle diciotto contrattuali), ma che in definitiva le cose stanno già così.

E mi obietta che la qualità è qualcosa di volatile, incalcolabile, personale. Tutto si concentra nell’ “ora di lezione” (come recita il titolo dell’ultimo libro di Massimo Recalcati), dove l’insegnante è solo, dentro e al tempo stesso fuori dell’istituzione, non misurabile nel suo merito se non attraverso le reazioni contestuali degli studenti in una relazione che non può essere ridotta a tecniche didattiche né a pura e semplice competenza. Purtroppo o per fortuna, questa relazione sfugge sempre alla presa dell’istituzione e di ogni riforma. Così, quando l’istituzione batte sul merito è opportuno alzare bene le orecchie, cercare di capire cosa può nascondere dietro a questa parola magica e affrettarsi a difendere il proprio spazio di libertà. Minuscolo quanto si vuole, è un fatto che senza la salvaguardia di tale spazio la scuola non è più una scuola e si trasforma in altro.

 

One Response to Cosa c’è nel “pacchetto” scuola

  1. Tanya says:

    Vorrei esprimere il mio modesta pensiero come ex ‘esperto d’inglese nelle scuole in Canavese. Trovo che la lacuna più grosso che condanna gli studenti Italiani a non imparare MAI inglese proviene dall semplice fatto che premettete un ricambio di insegnante durante l’anno scolastico – il semplice cambio di approccio o modo di spiegarsi che avviene produce due tracce nell cervello per lo stesso frase, parola, regola ecc così si crea confusione dubbio incertezze – una lingua coinvolge l’orecchie e la lingua coordinato dall cervello contemporaneamente – come fa se ha un dubbio o incertezza? Ve lo dico Io si disimpara come ho constatata migliae di volte…

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