di Pier Aldo Rovatti

 

Forse negli anni di scuola ci è capitato di leggere in fretta e magari con un tanto di noia le parti dei Promessi sposi che avevano l’aria di digressioni storiche non essenziali per seguire la trama dei protagonisti del romanzo. Per esempio le pagine che descrivono la peste di Milano attraverso il contagio di massa della popolazione. E poi quella frase, che resterà famosa, sul buon senso e il senso comune nel capitolo XXXII, quando Manzoni scrive: “Il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”.

Si parla di quello che stava accudendo nel giugno del 1630, un tempo che era già lontanissimo per il Manzoni, e che ormai è completamente sepolto per noi abitatori del ventunesimo secolo, per i quali la peste, i monatti e gli untori sono diventati pallidi ricordi consegnati a memorie libresche. Eppure, come possiamo negare che la frase che ho appena citato conservi una sua inquietante attualità, senza neanche bisogno di estrarla come un cammeo dalla narrazione di una città che tracolla incapace di orientarsi dentro un evento che la annichilisce, e di governanti disinteressati e imbelli che non riescono in alcun modo a governarla?

Il senso comune – non c’è bisogno di dotte didascalie filosofiche per capire di cosa si tratti – che si propaga come una cascata di gesti incongrui e irrazionali, il buon senso che ancora sussiste ma è costretto a stare in disparte per timore che l’onda lo travolga: una descrizione certo esasperata dal tono tragico di una catastrofe che riempie di morti le strade, che tuttavia possiede la capacità di comunicarci qualcosa che ha a che fare con ciò che stiamo vivendo adesso senza che attorno a noi sia davvero scoppiata la peste nera.

Quanto ai governanti, loro non stanno con gli occhi rivolti da un’altra parte, come accadeva per gli spagnoli di allora: al contrario, sospinti dal popolo stesso che li ha votati, si impegnano con le parole e con i fatti ad alimentare un senso comune che sembra non aspettare altro per diventare protagonista o illudersi di esserlo.

Piuttosto che star nascosto per paura, il buon senso viene tagliato fuori, staccato, espulso dal senso comune, e allora il disastro assume le caratteristiche di uno scarto che sta allargandosi ogni giorno e che più si estende, più rende difficile immaginare che si possa ristabilire un’unità.

Senza di essa, non solo la situazione non sarà più governabile tendendo a scivolare verso il peggio, ma è inevitabile che il senso comune – ora già dilagante – diventi il padrone assoluto della politica, una massa anonima destinata a muoversi senza avere consapevolezza del luogo verso cui sta andando e del perché sta facendolo. La peste manzoniana potrebbe trasfigurarsi in una sorta di disastro masochistico, in cui ciascuno seguendo l’onda fa del male a se stesso senza neppure accorgersene. Sarebbe bello svegliarsi una mattina e constatare che una descrizione come questa non è altro che un semplice incubo prodotto dalla stanchezza o da cattiva digestione!

Speriamo che sia così, però intanto ricordiamo le parole di Manzoni che insistono sulla “paura” e sul “contagio”. Non è necessario che infuri una reale pestilenza per accorgersi che il contagio funziona come collettore sociale. E allora teniamo presente che il contatto non è solo una medicina virtuosa, ma può anche scatenare una sindrome di prossimità come ben sanno gli studiosi delle dinamiche di massa. Senza l’apporto critico del buon senso, ogni contatto può dar luogo a un contagio emotivo.

Quanto alla paura, noi ripetiamo quotidianamente questa parola infausta che ormai si è trasformata in uno dei caratteri sintomatici del nostro tempo. Paura dell’altro e del diverso che permea la difensività del senso comune e ne diventa la linea di forza. Ma anche il buon senso si nutre continuamente di una sua paura: appunto il timore di essere assorbiti e colonizzati da ciò che la gente “sente” e condivide senza riflettere.

[pubblicato su “Il Piccolo”, venerdì 20 luglio 2018]

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