di Pier Aldo Rovatti

 

Ed è arrivato il premio Nobel per l’economia a Richard H. Thaler, dopo lo straordinario successo del suo libro intitolato Nudge, cioè La spinta gentile. Pubblicato assieme al giurista Cass R. Sunstein nel 2008 (e tradotto in italiano l’anno seguente), a coronamento di un percorso di ricerche dedicate alla cosiddetta economia procedurale, il libro ha fatto il giro del mondo e oggi si contano a decine i governi che applicano alle loro politiche pubbliche la teoria del nudging: all’ambiente, alla salute, al benessere dei cittadini.

Un “paternalismo libertario” l’aveva definita lo stesso Thaler che voleva gettare un ponte tra psicologia ed economia per indurre comportamenti virtuosi nella vita reale della gente, e appunto il suo motto era e resta “nudge for good”, una spinta gentile per il bene: far sì con modi non autoritari che gli individui agiscano in pubblico e in privato a vantaggio di sé stessi e della società, per esempio non sporchino i luoghi pubblici e non si facciano del male da soli.

Thaler proviene da studi e ricerche sulla razionalità economica, finanziaria in particolare, in quella università di Chicago (dove tuttora è attivo) che dagli anni ottanta del secolo scorso è diventata un crogiolo del neoliberalismo internazionale. Se andiamo indietro nella sua carriera scientifica incontriamo la scuola di Herbert Simon (a propria volta Nobel nel 1978). C’è comunque da ritenere che il successo di Nudge lo abbia preso in contropiede, se solo ricordiamo che il premier britannico Cameron lo chiama a far parte di un inedito team di analisi dei comportamenti pubblici (mentre Sunstein riceve un’analoga proposta negli Stati Uniti da parte di Obama). Lui stesso si stupirà dei risultati rapidamente raggiunti in molti ambiti della società inglese e della diffusione un po’ dovunque delle sue tecniche di “persuasione”. Come se quella che chiamavamo “pubblicità progresso”, accogliendola in maniera tiepida, adesso riuscisse a diventare un fattore di promozione sociale. Grazie a che cosa?

I campi di applicazione del nudging sono innumerevoli, a partire dal modo in cui si scrive un messaggio senza mettere i piedi in testa a chi lo riceve e dovrebbe farne tesoro, insomma senza usare l’arma spuntata dell’imposizione. Scelgo alcuni degli esempi più citati. Amsterdam: sulle mattonelle delle toilette pubbliche viene disegnata una raccapricciante mosca nera. E nella stessa Inghilterra: per persuadere la gente a non buttare per terra i mozziconi, metterla di fronte a una scelta proponendo due raccoglitori e invitando a usare l’uno o l’altro a seconda che si preferisca Leo Messi o Cristiano Ronaldo. I risultati – viene assicurato – sono stati sorprendenti, il che significherebbe che la moral suasion, quando è gentile, funziona davvero.

È tutto da discutere quanto ci sia di “morale” in tutto ciò, che assomiglia piuttosto a un’induzione di tipo psicologico, più o meno brillante. Nell’esempio dei raccoglitori di mozziconi ci si serve, inoltre, di un’esperienza di gioco che sembra proprio quella che è in grado di attutire l’obbligo introducendo una leggerezza nel messaggio. Ancora più discutibile mi pare l’uso di immagini angoscianti stampate sui pacchetti di sigarette per dissuadere i fumatori. Se analizzassimo quest’altro esempio di vita quotidiana, ci sarebbe da osservare che in esso c’è ben poco di gentile e che comunque (o proprio per questo?) chi fuma neanche si ferma a guardare le brutte illustrazioni sul pacchetto e accende la sua sigaretta.

Insomma la “spinta gentile” è un curioso ossimoro, cioè un gesto contraddittorio (se “spingo” come faccio a essere “gentile”?) di difficile esecuzione perché resta sempre in bilico su un bordo, ma soprattutto è una medaglia a due facce. È un gesto che i pubblicitari conoscono bene come tecnica per attirare l’interesse dei consumatori, spostando l’accento dalla merce a un godimento che essa non assicura, e che dunque può anche applicarsi a una persuasione virtuosa, come vorrebbe Thaler, ma che di solito si disinteressa dell’aspetto di moral suasion, anzi. Allora, perché la nudge può funzionare come veicolo di civiltà?

È abbastanza agevole indicarne le criticità, meno facile vederne le virtuosità (e dunque capire la fortuna che essa ha avuto e seguita a riscuotere). La “gentilezza”, come ben sappiamo, può anche essere un trucco per abbindolare l’utente (chiamiamolo così), dunque può risultare di maniera o falsa, tuttavia accade che la preferiamo sempre alla comunicazione violenta, impositiva o arrogante, quasi che in essa albergasse comunque un che di buono che potrebbe anche diventare qualcosa di costruttivo.

Lo scenario pubblico in cui viviamo diventa sempre più litigioso e permeato di violenze, noi stessi ci adeguiamo anche senza volerlo e ci scopriamo reattivi, impulsivi, perfino cattivi. Ne scaturisce il bisogno di pause di gentilezza per contrastare un’insopportabile litigiosità. Benvenute, dunque, queste pause e i fautori intelligenti delle medesime (come Thaler), a condizione che il nostro spirito critico stia all’erta e possa difendersi da ogni automatismo psicologico, oltre che dai trucchi retorici.

Ben venga l’allargamento della razionalità che Thaler auspica. E il sospetto, se non proprio la convinzione, che l’economia e lo stesso mercato navighino nell’irrazionalità, mentre ci vien fatto credere quasi sempre il contrario. Ben venga, allora, la “spinta gentile” se ci aiuta a ospitare la nostra stessa irrazionalità e a incrinare un poco la fede nei dispositivi di cui continuiamo ad alimentarci.

[Pubblicato su “Il Piccolo”, 13 ottobre 2017]

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