di Pier Aldo Rovatti

 

Accanto alla grande Memoria che abbiamo appena celebrato il 27 gennaio, nella Giornata che ricordava gli orrori di Auschwitz, c’è anche la piccola memoria (da scriversi con la minuscola) che ha a che fare con il consumo quotidiano degli eventi.

Quest’altra perdita del ricordo, silenziosa e a suo modo devastante, non avrà mai una giornata speciale per celebrarla: non ha data, non è collegabile a qualche sterminio, non ha vittime da piangere e da riscattare: non è, e forse non diventerà mai, una tragedia inaudita con un contorno storico preciso da non dimenticare e da non ripetere. È un semplice fenomeno del presente ed è probabile che andrà allargandosi a dismisura nel prossimo futuro e a ogni latitudine. Vittime di questo oblio quotidiano siamo tutti, così come tutti, in qualche misura, ne siamo gli inconsapevoli artefici.

Mneme: così suona la parola memoria nel greco degli antichi filosofi, Platone in testa. Essa riguarda anche la Storia sulla quale cade l’oblio dei popoli e degli individui. Ricordare la Storia, soprattutto quando porta la morte a innumerevoli innocenti, è per ognuno di noi un atto di libertà irrinunciabile. Ma noi, oggi, siamo portati a dimenticare, non vogliamo che l’orrore sia troppo vicino agli occhi e alla mente, ragionevolmente preferiamo che tali fantasmi non ci tormentino troppo e ci colpevolizzino di continuo, desideriamo vivere – come dire – tranquilli.

Perciò è necessaria una giornata della memoria che, per quanto effimera e transeunte, sbarri per un poco l’inerzia dell’oblio. Ma, ecco, appunto, quella giornata, che pure ha richiesto così tante cure da parte di tanti, è già passata lasciando una traccia esile, presto destinata a svanire, nella coscienza generale. È proprio di questo oblio pigro e diffuso che sto parlando, cioè del frantumarsi della memoria breve.

Oggi, quella antica parola si pronuncia nel greco moderno “mnimi”, ne abbiamo udito il suono, per noi curioso, nei giorni seguiti alla vittoria politica di Alexis Tsipras. Proporrei di adottare tale strana sonorità per l’amnesia di cui stiamo tutti quanti soffrendo. Essa sembra riduttiva, ma è il contrario. L’oblio quotidiano si stende dappertutto: alla lettera, noi tendiamo a dimenticare quello che ci è successo solo ieri, il mese appena passato, o nel corso del 2014.

Come se un nostro organo così essenziale si stesse rattrappendo, e non certo per consunzione fisiologica: i celebrati giovani dimenticano più facilmente di quei meno giovani che sarebbero – si dice – da rottamare. Ciò avviene in modo endemico, nonostante i potentissimi artifici tecnologici apprestati per registrare e archiviare, dotati di strepitose “memorie”. Anzi, queste stampelle sono state fabbricate precisamente per far camminare memorie umane ormai invalidate.

L’ultimo romanzo di Umberto Eco (Numero zero, Bompiani), piaccia o meno come opera letteraria, è un prezioso manuale del cattivo giornalismo: che sia ambientato agli inizi degli anni Novanta non toglie che dica cose che oggi sono diventate ancora più vere (e raffinate). Volete costruire fangosi scoop per colpire gli avversari o semplicemente proporre ai lettori eventi mirabolanti? Non c’è bisogno di inventare nulla, basta andare giù in archivio, compulsare le cronache di due o tre anni fa, trascrivere fatti e dichiarazioni. Saranno novità clamorose.

È un esempio parziale, ma poi mica tanto. Supposto che lo ammettiamo come verosimile, esso è un sintomo della nostra galoppante amnesia che dà luogo ad atteggiamenti di patente disattenzione verso la storia quotidiana e minuscola in cui siamo presi e che, a quanto sembra, ci interessa sempre meno, sospesi come siamo tra realtà e finzione, e incapaci di cavare un minimo di senso, da fissare nella mente, dai tanti rumori che ci circondano.

[uscito su “Il Piccolo”, 30 gennaio 2015]

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